Il Cluster Italia Foresta Legno crea sinergie fra Ministeri, enti locali, università, mondo forestale e imprese. Per fornire nei prossimi anni al settore arredo-design un prodotto 100% italiano e sostenibile.

Le foreste italiane godono di ottima salute e sono pronte per generare valore e lavoro. A maggior ragione dopo che a luglio il ministro Francesco Lollobrigida, titolare del Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste (MASAF), ha inaugurato l’avvio del Cluster Italia Foresta Legno: la cornice che riunisce le migliori ener[1]gie del mondo delle istituzioni, della ricerca e della produzione, e che – come ha dichiarato il ministro – “può garantire la sostenibilità ambientale, con la crescita di un sistema foresta sano, ma anche una sostenibilità produttiva che renda interessante investire sul legno, insie – me a tutti gli elementi della filiera e le imprese a questi collegati”. Il riferimento è, in primis, alle aziende del settore legno-arredo che, secondo quanto annunciato dalla premier Giorgia Meloni all’inaugurazione del Salone del Mobile di Milano, meritano di poter contare su “una filiera del legno 100% made in Italy”. L’Italia dispone di circa 11,1 milioni di ettari di bosco alto (erano 5,6 milioni nell’immediato Dopoguerra) che coprono il 36% del territorio nazionale, e – di questi – 3,5 milioni di ettari si trovano in aree protette. Le attività legate alla selvicoltura e all’industria del legno e della carta valgono l’1% del Pil, e la produzione complessiva della filiera legno-arredo si attesta sui 56,5 miliardi di euro, circa il 4,6% del fatturato manifatturiero nazionale (Consuntivi 2022, dati Centro Studi FederlegnoArredo). Al momento, il tasso d’utilizzo delle risorse forestali è modesto (il prelievo legnoso è stimato al 24% dell’incremento di volume), e il legname è in gran parte destinato a uso energetico. Dall’estero si importa l’80% del legno usato in Italia, mentre il 20% di prodotto autoctono deriva (per metà) dalla coltivazione del pioppo e dai boschi di conifere. Pesano, all’interno di questo scenario, gli esiti dell’invecchiamento e della mancata gestione delle aree boschive: sono questi i nodi da sciogliere grazie agli strumenti normativi e ai tavoli di confronto allargato che potrebbero cambiare la partita.

DALLE FORESTE ALLE IMPRESE: CON IL CLUSTER TUTTI I PLAYER LAVORANO INSIEME

Con un stanziamento di 25 milioni di euro e una proiezione temporale di 20 anni, “il Cluster nazionale per la prima volta fa sì che i ministeri delle Foreste, della Cultura e delle Imprese e Made in Italy possano finalmente dialogare fra loro e insieme agli enti locali, a chi si occupa di ricerca, al mondo forestale e alle aziende attive nei comparti della lavorazione”, sottolinea Nicoletta Azzi, vicepresidente del neonato Cluster Italia Foresta Legno ed ex presidente di Assopannelli di FederlegnoArredo. “Proprio per questa sua capacità di aggre – gazione, il Cluster è uno strumento rivoluzionario che crea dialogo in un settore dove a lungo si è viaggiato per compartimenti stagni e, inoltre, sblocca l’attuazione delle linee guida del Testo unico in materia di foreste e filiere forestali (Tuff), che nel 2018 ha posto le basi per il migliore utilizzo delle risorse boschive disponibili e per lo sviluppo delle catene del valore locali, sempre nel pieno rispetto dell’ambiente”, Il legno è uno dei principali protagonisti della transizione ecologica ma, dal punto di vista delle essenze, le foreste non sono tutte uguali. E l’Italia di certe specie è carente: “Pino e abete bianco e rosso, per esempio, vengono importati”, precisa Azzi, “mentre va meglio con la produzione di legno di pioppo, che oggi si coltiva fino in Toscana. Con lo sviluppo dei cloni resistenti a climi diversi da quelli padani, il pioppo è già potenzialmente trapiantabile anche al Sud, dove – in particolare sugli Appennini – prosperano i boschi latifoglie, di casta – gno e rovere, materiali ottimi sia per l’edilizia che per i mobili. Si dovrà affrontare anche il profilo delle autorizzazioni paesaggistiche, visto che il 35% dei boschi italiani è sottoposto a vincolo dalle Sovrintendenze. Non ultimo, occorre nuova forza lavoro specializzata in campo forestale e nel settore della trasformazione: la materia prima c’è ed è abbondante, ma bisogna formare il personale capace di far funzionare la filiera”. Ancora una volta il tema della formazione torna alla ribalta in tutta la sua urgenza.

SERVONO PIANI DI GESTIONE E UN INVENTARIO AGGIORNATO DEI BOSCHI

“Solo il 18 % dei boschi italiani è oggetto di un Piano di gestione, contro circa il 50% a livello Europeo, e questo la dice lunga sul lavoro e sui tempi necessari per creare una filiera del legno al 100% made in Italy”, osserva Giuseppe Fragnelli, dottore Forestale e referente tecnico dell’Ufficio normativa di FederlegnoArredo. Inoltre è urgente “l’ag – giornamento dei dati del patrimonio boschivo, visto che l’ultimo inventario risale al 2015; nel frattempo, le foreste italiane hanno continuato a espandersi, soprattutto per la colonizzazione spontanea di aree agricole marginali, a seguito dell’abbandono colturale. In molti casi questi appezzamenti privati risultano abbandonate, i proprietari sono sco – nosciuti o trasferiti all’estero. In queste proprietà ‘silenti’, in realtà, le amministrazioni potrebbero intervenire attraverso la loro cura e messa in sicurezza per interesse pubbli – co, fatti salvi i diritti dei privati, ma ovviamente bisogna sempre mettere sulla bilancia oneri e benefici”. Allo stato attuale in Italia non c’è rischio di deforestazione, anzi: in base al Rapporto FAO 2022, la superficie boschiva nazionale (circa il 60% è privata) è aumentata in 10 anni di circa 587 mila ettari, dando vita però a un’estensione forestale molto vulnerabile al dissesto idrogeologico e agli incendi, proprio perché è mancata l’opera di prevenzione e di manutenzione. Le nuove urgenze “sono rappresentate dal cambiamento climatico – basta pensare alla distruzione portata nel 2018 dalla tempesta Vaia sulle Alpi Centro Orientali – e dai problemi fitosanitari, dovuti ai parassiti come il bostrico che attacca prevalentemente l’abete rosso, un insetto che blocca i flussi di nutrimento della pian – ta e si riproduce sul legno degli alberi caduti e non rimossi ma si diffonde anche sulle piante debilitate dallo stress diventando pericoloso per i popolamenti forestali se la sua proliferazione diventa eccessiva”, spiega Fragnelli. Di qui l’importanza di gestire i boschi, rimuovendo ad esempio il legname schiantato, “ma senza dimenticare che con il legna – me che si ricava dalla manutenzione non sempre si coprono i costi degli interventi: ser[1]vono comunque un aiuto pubblico e la semplificazione burocratica per creare infrastrut[1]ture di viabilità per accedere alle foreste, spesso situate sopra i 5-600 metri di altitudine e in forte pendenza, così da permettere non solo gli interventi di gestione e di manuten – zione sul territorio, ma anche per quelli di prevenzione e intervento in caso d’incendio”. Quanto alle cifre elevate dell’import (80%), si tratta soprattutto di legno di conifera che arriva da Austria, Germania, Francia e Slovenia. Anche il legname di latifoglie viene impor[1]tato, così cme quello di specie tropicali: “L’assurdo è che dall’estero vengono ad acquistare il grezzo in Italia e poi ci rivendono a prezzi competitivi il semilavorato, che da noi costa ancora troppo”, evidenzia l’esperto. Senza contare che, al di là dei boschi di conifera dell’ar[1]co alpino, “andrebbero valorizzate le foreste di latifoglie presenti anche nel resto della Penisola, come quelle di querce, faggi e castagni. Il legno di queste specie è infatti adatto a molteplici impieghi e tra questi quello nell’edilizia, anche perché già coperto da norme europee armonizzate per il settore delle costruzioni”.

IL PIOPPO, UN’ECCELLENZA ITALIANA DA TUTELARE E DA FAR CRESCERE ANCORA DI PIÙ

Predilige le campagne umide della Pianura Padana ed è uno dei protagonisti del paesaggio veneto, emiliano, lombardo e piemontese, territori dove la sua coltivazione ha preso piede da poco più di un secolo. Il pioppo fornisce il 50% del legname tondo da industria prodotto in Italia e rappresenta un’importante fonte di materia prima per le filiere degli imballaggi, della carta, dei pannelli e del compensato; è usato anche in bioedilizia per le travi lamellari e le pareti in pannelli coibentati e fonoassorbenti. Di compensato di pioppo si producono in Italia circa 400 mila metri cubi l’anno (all’export è destinato più del 50%, che migra soprat – tutto in Germania, Gran Bretagna e Stati Uniti) e, sugli oltre 50 mila ettari dedicati alla pioppicoltura a livello nazionale, l’area del Po rappresenta la parte predominante. Con uno dei tassi di rendimento più alti fra gli investimenti agro-forestali. Ecco perché ha generato allarme l’annuncio del piano di ‘Rinaturazione dell’area del Po’ finanziato per 357 milioni di euro dalla Missione 2 del PNRR, in particolare per quanto riguarda la revoca delle concessioni a pioppicoltura previste nella fascia fluviale e l’espro – prio delle aree a pioppeto, coinvolgendo circa 7 mila ettari, con un danno economico immediato di 200 milioni di euro in valore e con effetti deleteri sull’economia del terri – torio padano, sulla pioppicoltura e sul comparto del legno-arredo. “A fronte delle nostre segnalazioni l’AIPO (Agenzia Interregionale per il fiume Po, ndr) ha ritenuto opportuno sospendere, almeno pro tempore, l’attuazione del progetto originale”, racconta Paolo Fantoni, vicepresidente di FederlegnoArredo: “Il piano, ora in fase di rianalisi, avrebbe avuto un impatto almeno del 12% sul totale della pioppicoltura della Pianura Padana, pro – prio adesso che si stanno gettando le basi di una filiera del legno 100% made in Italy”. Al di là del valore economico, la coltivazione dei pioppi, certificata secondo gli standard forestali PEFC e FSC e tutelata grazie all’Osservatorio partecipato dal CREA Legno e Foreste, ha anche una valenza ambientale, perché “contribuisce a frenare l’erosione vicino ai corsi d’acqua in caso di piene, e favorisce la fitodepurazione dei terreni e la rigenera – zione di aree in disuso”, continua Fantoni. “I pioppi sono alberi resilienti: vengono tagliati dopo undici anni dalla messa a dimora e, nel frattempo, riescono ad assorbire grandi quan – tità di CO2, evitandone il rilascio in atmosfera. In Italia abbiamo pioppeti invidiati nel mondo: a Casale Monferrato, per esempio, arrivano i compratori stranieri ad acquistare i cloni più resistenti a insetti, malattie e stress idrico”. Tutte qualità che candidando il piop – po – l’antico ‘albero del popolo’ degli antichi Romani – a diventare la pianta del futuro.

Credit: Fiammetta Bonazzi, Pambianco Design, Novembre/Dicembre 2023

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